In occasione del mese dedicato alla Giornata mondiale del cuore, uno studio condotto da MultiMedica svela i meccanismi che rendono il cuore di alcune persone più resiliente, capace di riprendersi efficacemente anche dopo un infarto. Il protagonista di questa scoperta è il gene BPIFB4, conosciuto come il “gene della longevità”, e la sua variante LAV (Longevity Associated Variant), particolarmente presente nei centenari.
I risultati dell’indagine, recentemente pubblicati sulla rivista Cell Death and Disease, sono il frutto del lavoro coordinato del professor Annibale Puca del Gruppo MultiMedica di Milano e del professor Paolo Madeddu dell’Università di Bristol. Secondo lo studio, la proteina esercita un’azione diretta sui cardiomiociti – le cellule responsabili del battito cardiaco – rendendoli più efficaci e resistenti in caso di infarto, mitigando le sue conseguenze. Ciò permette al cuore di reagire in modo più efficace, subendo minori danni e ripristinando più rapidamente le sue funzioni.
Il progetto, sostenuto dal Ministero della Salute e dalla British Heart Foundation, è stato sviluppato in tre fasi: una clinico-osservazionale, una in vivo e una in vitro. Durante la prima fase, sono stati esaminati i campioni di plasma di 492 pazienti con età tra i 59 e i 76 anni, che avevano sofferto di un infarto. È emersa una correlazione inversa tra i livelli di proteina BPIFB4 nel sangue e la gravità della malattia coronarica: i pazienti con malattia trivasale, la forma più grave che coinvolge il restringimento di tutte le tre arterie coronariche, avevano i livelli più bassi di questa proteina. I risultati della fase in vivo hanno confermato queste osservazioni.
Per capire come la proteina contribuisce a potenziare il muscolo cardiaco, i ricercatori si sono concentrati su due specifici tipi di cellule cardiache umane durante la fase in vitro: i cardiomiociti e i fibroblasti, responsabili rispettivamente della contrazione e della produzione di tessuto connettivo. “È stato sorprendente osservare come LAV-BPIFB4, la molecola diffusa nei soggetti con vita lunga e sana, migliorasse le prestazioni del cardiomiocita umano, la cellula muscolare del cuore responsabile della generazione e della trasmissione del battito cardiaco”, sottolinea Monica Cattaneo, ricercatrice del Gruppo MultiMedica e autrice principale dello studio. “Infatti, la proteina, aggiunta alla coltura cellulare, aumenta la forza di contrazione del cardiomiocita e la frequenza del battito. Questo vantaggio si associa a un’ulteriore azione positiva che LAV-BPIFB4 esercita sul fibroblasto, limitando la sua produzione di fibrosi, che rende il tessuto cardiaco più rigido. Considerando questi benefici, riteniamo che la proteina abbia un forte potenziale terapeutico, protegge l’equilibrio e la salute del cuore e contrasta il dannoso rimodellamento cardiaco che contribuisce all’insorgenza delle patologie ischemiche”.
Negli ultimi anni, la proteina LAV-BPIFB4 ha dimostrato di essere efficace in diversi contesti patologici. “Ha provato la sua efficacia, in modelli animali, nel prevenire l’aterosclerosi, l’invecchiamento vascolare, le complicazioni diabetiche, e nel ringiovanire il sistema immunologico e cardiaco – afferma Annibale Puca, capo del laboratorio presso l’Irccs MultiMedica -. Oggi si aggiunge un ulteriore importante tassello: la protezione dall’infarto. Tutte queste evidenze ci suggeriscono che la proteina o gene della longevità sia una sorta di strumento attraverso cui la natura ci rende più capaci di adattarci a nuove situazioni, più resistenti alle malattie”. Malattie che, insieme al processo di invecchiamento, hanno tutte un denominatore comune: la perdita di omeostasi, quel processo che permette alle cellule di mantenere il loro equilibrio e quindi di sopravvivere. “Il segreto del successo della LAV-BPIFB4 risiede proprio nella sua capacità di ristabilire quell’equilibrio”, conclude Puca.