La questione relativa alla menopausa, un inevitabile passaggio nella vita di ogni donna, suscita sempre un grande interesse. Nonostante l’inevitabile calo ormonale, l’idea di ritardare il termine della fertilità potrebbe non produrre i benefici attesi. Recentemente, il Wall Street Journal ha messo in dubbio l’efficacia delle terapie ormonali destinate a rallentare l’invecchiamento femminile, un argomento che risveglia il dibattito sulla menopausa.
È ben noto che la menopausa può comportare una diminuzione della protezione contro alcune malattie. Tuttavia, alcuni studi suggeriscono che il prolungamento della fertilità potrebbe avere i suoi vantaggi. Ad esempio, una ricerca del 2005 pubblicata su Epidemiology ha rivelato che una menopausa tardiva potrebbe estendere la durata della vita di una donna di circa due anni rispetto a quelle che entrano in menopausa prima dei 40 anni. Inoltre, uno studio del 2019 pubblicato su BMC Cardiovascular Disorders ha indicato un aumento del rischio di ictus e mortalità nelle donne che entrano in menopausa prima dei 50 anni. È anche emerso che gli ormoni femminili possono fornire una protezione significativa contro la demenza.
Nonostante questi dati, un recente articolo del Wall Street Journal ha sollevato dubbi sugli effetti positivi del ritardo della fertilità nelle donne. In questo contesto, diverse aziende farmaceutiche e biotecnologiche stanno cercando di sviluppare terapie per ritardare la fine del ciclo mestruale nelle donne.
Nonostante l’entusiasmo per queste innovazioni, la dottoressa Stephanie Faubion, direttrice della Mayo Clinic Women’s Health e direttrice medica della North American Menopause Society, sostiene che non ci sono prove sufficienti a dimostrare che una menopausa ritardata possa effettivamente migliorare la salute delle donne. In particolare, non è certo che un intervento farmacologico per prolungare la fertilità possa effettivamente ridurre i rischi cardiovascolari.
La ricerca scientifica sta esplorando diverse strade per ritardare la menopausa. Alcuni studi suggeriscono che l’amministrazione dell’ormone antimulleriano (AMH) potrebbe bloccare l’ovulazione e mantenere le ovaie a riposo. Altre ricerche si stanno concentrando su terapie in grado di invertire il declino ovarico.
Nonostante le nuove scoperte, la terapia ormonale rimane una delle opzioni terapeutiche più riconosciute per trattare i sintomi della menopausa. Tuttavia, la dottoressa Daniela Galliano ricorda che ogni opzione terapeutica deve essere attentamente valutata dai medici in base alle specifiche condizioni della donna. Infatti, alcune donne non possono assumere la terapia ormonale sostitutiva (TOS), come le donne obese, ipertese, con pregresse malattie epatiche o tumori ormono-dipendenti.
In ultima analisi, mentre l’interesse per quest’argomento è elevato, non esiste al momento una solida evidenza scientifica che confermi che il ritardo della menopausa porti solo benefici per la salute delle donne. È necessaria ulteriore ricerca per comprendere pienamente le implicazioni e le potenziali conseguenze di ritardare questo inevitabile passaggio nella vita di una donna.
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