La coltivazione delle piante d’ulivo è un’immensa risorsa per l’Italia, che negli ultimi anni è riuscita ad esportare uno dei prodotti simbolo dell’italianità – l’olio di oliva – anche in America, Australia e Nuova Zelanda. Quasi tutte le regioni dello Stivale si dedicano, chi più e chi meno, alla coltivazione degli ulivi. In particolare, le regioni meridionali (Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna) vantano sui loro territori l’85% del totale della produzione di olio d’oliva.
L’olio d’oliva, oltre ad essere uno dei prodotti d’eccellenza italiani esportati con orgoglio all’estero, è anche un condimento fondamentale della dieta mediterranea. Una menzione particolare è d’obbligo per l’olio extravergine d’oliva, che nelle ricette degli italiani fa da sovrano.
Usato fin dai tempi dell’antichità, l’olio d’oliva continua ad essere onnipresente sulle tavole degli italiani. Eppure, in tempi recenti si parla sempre più spesso della necessità di ridurre il consumo di olio nelle nostre diete e cercare di adoperare al suo posto degni sostituti, che possono essere ad esempio l’olio di semi oppure il burro.
Prima di passare in rassegna alcune delle principali opzioni di sostituzione dell’olio nelle cucine degli italiani, è opportuno fare una distinzione tra i differenti tipi di olio di oliva.
Esistono quattro tipologie di olio d’oliva: olio extravergine di oliva, olio vergine di oliva, olio di oliva lampante e olio di sansa di olive; quest’ultimo è l’unico ad essere ottenuto attraverso raffinazione con solventi chimici.
Le altre tre tipologie di olio, ottenute con la spremitura meccanica delle olive, si differenziano reciprocamente in base all’acidità. Innanzitutto, l’acidità di un olio indica la quantità di acidi grassi liberi presenti nell’olio. In poche parole: minore è l’acidità, maggiore è la qualità dell’olio. L’olio extravergine è l’olio di oliva con l’acidità minore (inferiore allo 0,8%), seguono in questo ordine olio vergine e olio lampante.
Contrariamente a quanto si crede, l’olio extravergine di oliva vanta molteplici proprietà benefiche. Ad esempio: regola la glicemia, riduce la pressione sanguigna, migliora il profilo lipidico, aiuta contro il colesterolo alto, ha effetti benefici sull’intestino, abbassa il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative, funge da antiossidante, protegge il sistema immunitario, aiuta le ossa ed è ottimo per i bambini. Ovviamente, abusarne non potenzierà tali proprietà.
L’olio di semi si ottiene da frutti o semi di piante diverse dall’ulivo. Ne esistono molteplici tipologie, a seconda del frutto/seme che ne è alla base. Per citarne alcuni: olio di semi di lino, olio di cocco, olio di palma, olio di mais, olio di semi di ricino, olio di rido, olio di soia, e tantissimi altri. Tra questi, il più popolare è sicuramente l’olio di semi di girasole, molto diffuso in Italia.
L’olio di semi è generalmente percepito come più leggero rispetto all’olio evo, poiché ha una consistenza meno densa, è inodore e insapore. Ne consegue la credenza comune che l’olio di semi (di qualunque seme si tratti) sia meno grasso e più salutare dell’olio extravergine di oliva, e quindi ad esso preferibile.
Tuttavia, la realtà è un’altra: il contenuto calorico dell’olio di semi è identico a quello dell’olio evo (9kcal per grammo). Non solo: mentre l’olio evo contiene per la maggior parte grassi monoinsaturi, gli oli di semi contengono principalmente grassi polinsaturi. Inoltre, a differenza dell’olio evo, gli oli di semi sono generalmente ottenuti attraverso processi di raffinazione chimica.
In ogni caso, gli oli di semi contengono lipidi indispensabili per l’organismo e nelle quantità giuste possono essere utilizzati in cucina (anche se è preferibile utilizzare l’olio evo).
In particolare, spesso gli oli di semi vengono sostituiti all’olio evo oppure al burro nella preparazione dei dolci. In questi casi, quando una ricetta contiene olio extravergine di oliva e si vuole sostituirlo con l’olio di semi, basta semplicemente attenersi alle quantità indicate e utilizzare l’olio che si preferisce. Un errore comune è quello di aumentare le quantità di olio di semi, nella convinzione – errata, come sopra indicato – che sia più leggero di quello evo e quindi ne serva di più. Non è così.
Un altro ingrediente ampiamente presente nelle cucine degli italiani è il burro, che anche viene spesso contrapposto all’olio di oliva: la sfida è su quale dei due è il migliore alleato per la preparazione di dolci e altri alimenti.
I nutrizionisti tendono a consigliare l’utilizzo dell’olio evo piuttosto che del burro, ma come sempre: la virtù sta nel mezzo.
Il burro è un alimento di origine animale, derivato dalla parte grasse del latte e pertanto contiene colesterolo. L’olio evo è un alimento di origine vegetale, è meno calorico del burro e non contiene colesterolo.
Questo però non significa che bisogna eliminare il burro dalle nostre diete, piuttosto che è necessario fare attenzione alle quantità e alle modalità in cui esso viene consumato. Per esempio, nella preparazione dei dolci ci sono casi in cui è decisamente preferibile utilizzare il burro per una migliore resa finale, si pensi alla pasta frolla.
In conclusione: olio evo, olio di semi e burro sono tutti validi alleati degli italiani ai fornelli. Nessuno dei tre “fa male” se consumato correttamente ed evitando gli eccessi.
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